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Realtà e fantasia in “Allegro occidentale” di Francesco Piccolo

Il Quotidiano – Mercoledì 24 marzo

Un tour nel finto esotico

“L’esotico della lontananza e il finto esotico della vicinanza”, dalle parole dello scrittore Francesco Piccolo, si intrecciano e si confondono in un diario di viaggio vagamente autobiografico.
“Allegro occidentale” è narrato in prima persona da Mister Piccolo, scrittore e giornalista a cui è offerto un viaggio verso mete esotiche. Rigorosamente in business class, Mister Piccolo fa tappa, insieme ad alcuni colleghi, in Sri Lanka, ad Hong Kong e in Australia, annotando in chiave occidentale ciò che gli accade, un diario qua e là interrotto da digressioni che lo riconducono alla quotidianità.
Il titolo “Allegro occidentale” ha un significato particolare?
“Allegro occidentale” perché l’uomo occidentale ha una sua congenita allegria dovuta alla ricchezza, nel senso che la povertà la guarda ma non la vive. Il punto di partenza del libro è la doppia vita, quella dell’uomo in viaggio e quella dell’uomo che vede e vive le stesse cose a casa sua. Quando scrivo della notte che Mister Piccolo trascorre a casa di una ragazza sull’Aurelia o della prostituta nigeriana quello che voglio descrivere è una distanza esistenziale. È la somiglianza del mondo in tutte le sue latitudini”.
Il filo conduttore del romanzo è il viaggio. Si tratta di un’esperienza vissuta davvero?
“Si, anche se nella realtà questo viaggio è stato fatto in varie tappe. L’idea l’avevo nella testa già da tempo e riguardava il desiderio di raccontare i viaggi Valtur, mito contemporaneo occidentale per eccellenza. Poi il libro si è fatto da solo. Mister Piccolo un po’ cerca di assomigliarmi il più possibile, è un’autobiografia in viaggio. Questo è un libro che cerca di assomigliare a quello che io come occidentale ho di peggiore”.
Ad un certo punto nel libro lei scrive che ogni volta, prima di partire, si illude di star trascorrendo la notte in cui è rientrato dal viaggio. E come se il viaggio fosse affrontato senza entusiasmo, quasi controvoglia.
“E’ una malinconia congenita, il desiderio di non viaggiare. Ad ogni modo ben vengano i viaggi ma se sto a casa è pure meglio”.
Quale è stato il momento in cui ha deciso di voler diventare scrittore visto che nella vita si dedica esclusivamente alla scrittura?
“Fin dagli ultimi anni del liceo anche perché ero un appassionato lettore. Posso affermare di aver sempre scritto e di aver, però, avuto sempre presente la visione della mia crescita. Ho fatto leggere le prime cose solo quando ero convinto, ritengo di aver molto senso critico. Da giovanissimo ho fato anche altri lavori, poi crescendo mi sono dedicato solo alla scrittura. Il mio è unmmestiere di scrivere che si triplica tra giornalismo, sceneggiatura (recentemente “Agata e la tempesta” e “My name is Tanino”) e romanzi. Credo molto al fatto di dedicare la mia vita alla scrittura”.